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Di fronte a un universo della comunicazione e del consumo programmaticamente orientati alla dissimulazione delle differenze (reali) e delle gerarchie di valore, sembra potenzialmente riacquistare importanza il ruolo di una critica capace non soltanto di discriminare il serio dal futile, l'autentico dal fasullo, il complesso dal superficiale, il significativo dal trascurabile, ma soprattutto, come insegnava Max Weber, di misurare tra loro le conseguenze non volute dell'agire e rispondere così alla domanda: «che cosa 'costa' l'attuazione dello scopo voluto, in forma di perdita prevedibile di altri valori»? Per chi si occupa, in particolare, di didattica e divulgazione dell'architettura, l'obiettivo da perseguire dovrebbe essere la "consapevolezza". Una consapevolezza rispetto al significato concreto del costruire e rappresentare il mondo a cui dovrebbero tendere sia i professionisti, chiamati a compiti di "trasformazione" e non solo di "riproduzione" del reale, sia i pedagoghi, delegati a "formare" le coscienze e le competenze dei futuri architetti, sia, infine, il pubblico generico degli utenti, la cosiddetta società civile, sui quali si ripercuoteranno direttamente o indirettamente, spesso a notevole distanza di tempo, gli effetti positivi o negativi dei progetti e delle opere. Riuscire a farsi carico, autorevolmente, di questo mandato, vorrebbe dire, per la critica, potersi rigenerare in un'autentica prospettiva etica e politica.